Controcoscienza

E allora lanciati. A tutta velocità
contro quel muro. Ingrana la marcia e perdi il mondo alle tue spalle.
Fagli capire che non ti merita. Anche il vento che striscia tra le
piante spinge in quella direzione. Dai, dagli una bella lezione. Se
lo devono ricordare tutti. Non ti hanno guardato ma ora saranno
costretti a prestare attenzione. Non credere, il costo non è poi
così alto. Al momento non hai di che preoccuparti, in fondo sei solo
in prima. Lascia che il lettore cd sentenzi….titititititititi. Ora
perché ti viene in mente la tua serie tv preferita? Ti sembra
opportuno? Pensa a visualizzare il muro, il finestrino aperto e
l’aria che entra, il soffocamento. Sordità e cecità un secondo
prima dell’impatto. Un ammasso di calce e mattoni statico eppure,
anche se può sembrare un ostacolo, a saperlo usare diventa una porta
che conduce lontano. Se lo fai per un motivo e lasci una lettera o un
biglietto, tutti si sentono un po’ sollevati. Nessuna ragione, mai un
cenno di crollo, mai una crepa ed un sorriso vellutato in quelle
serate eleganti…..il tintinnio di bicchieri che si scontrano, acuto
e piacevole come il sapore delle bollicine sulla lingua…tutti
in piedi con i calici in mano e finger-food…questo è ciò che
serve per destabilizzare. Gente a chiedersi come mai. Tranquillo, la
seconda è una buona marcia ma puoi fare di meglio. Il bocchettone
sputa aria calda ed il rumore sordo bastona le orecchie. L’estate
chiuso nella doccia con una lei troppo più audace di te. Gira la
chiave, ti guarda e mostra di conoscere la procedura mentre a te non
resta che essere un bambino. Osservi come se stesse accadendo ad un
altro, con gli occhi aperti perdendo ritmo sul respiro. Tutte le
serate con gli amici. Calcio in strada fino alle tre di notte; la
porta erano due punti qualsiasi abbastanza in linea per definirli
“pali”. La traversa si adattava sull’altezza di chi faceva il
portiere.  Poi ci siamo mandati a fanculo. Che è successo ragazzi?
Tu questo non l’hai chiesto mai. Dove sono finiti tutti quei fuochi
sulla spiaggia? Tu questo non te lo sei chiesto mai.  Rimasto solo
con una chitarra scordata che in questo ti somiglia assai. Dov’è
finita la ragazza dei tuoi sogni? Non quella della doccia ma la Lei
con la maiuscola, Lei che affondava i piedi nella sabbia, le
ginocchia al petto, le braccia a rilegare le gambe e lo sguardo fisso
su di te a trapassare il calore di quel falò magnetico. La terza è
una discreta marcia e se abbassi il finestrino l’aria ti scompiglia
quello che è rimasto del ciuffo ma……devi avere la certezza di
non farci rimanere nulla; continua a piegare in avanti quel piede e
scaccia il bisogno di scalare. I capelli sempre più radi; vuoi
continuare a vederli a ciocche sul cuscino? Il crocifisso appeso
sopra il tuo letto non ha risposto mai. In questo mondo dove c’è
tanto da imparare, silenziosamente avverti che non è rimasto niente
da scoprire. E se poi ti penalizza, se poi in questa gara di velocità
il tuo punto di partenza è arretrato rispetto a quello della
moltitudine? Vuoi ancora credere in qualche forma di giustizia?
“Giustizia” che parola pesante…..da bravo, ingrana la quarta
che così può bastare. Ed ora che stiamo arrivando al dunque, come
ti senti? Il viale è sgombro e sei padrone di qualche secondo
sull’ora del decesso. Sei il primo a sapere il titolo della pagina d’apertura
sul giornale di domani….sempre che Beckham non sfoggi una nuova
pettinatura. Stai scegliendo di non dover scegliere più e ti torna
in mente Trainspotting….anche ora pensi ai film? Ti piacevano
proprio quei sogni a pagamento. La tariffa ridotta del mercoledì e
quelle artificiali tenebre magiche a creare l’atmosfera. Tutti a
condividere una stessa emozione; preferivi la sala vuota e lo schermo
luminoso tutto per te. Non era triste andare al cinema da solo; assai
più deprimente era chi rinunciava perché non aveva compagnia per
muoversi. Riflessioni passate; ora, a cinquanta metri dal muro, non
contano più. Ridi attaccato al volante, con la cute in bella vista e
mancano venti metri…..un’altra decina ed abbiamo passato il punto
di non ritorno. Perché cambi pedale? A destra inizia il viaggio. No,
non quello di sinistra; se ti fermi tutto rimane così com’è. Perché
continuare a farsi del male? Non ne hai abbastanza? Finisce per tutti
sai? Che differenza fa se cinquanta, sessant’anni prima o dopo? Non
l’hai ancora capito? Qui non c’è più niente per te. Stai perdendo
velocità, riprendi la corsa finché sei in tempo: non avrai il
coraggio di farlo una seconda volta. Pensa a quello che ti aspetta
domani. Pensa al pentimento, al peso di non poter raccontare quel che
stavi facendo, all’amarezza di rimanere in un posto che disprezzi ma
di cui evidentemente non ne hai mai abbastanza. Vuoi farti portare
all’esasperazione da questo mondo? Vuoi diventare un vecchio suicida?
Niente prima pagina dopo i settant’anni, sai? Diranno “non ci stava
più tanto con la testa” oppure “dispiace, certo, ma ormai aveva
fatto il suo tempo”. Ecco fatto: completamente fermo a qualche
metro da quel maledettissimo muro. Dov’è finito tutto il rancore
sottaceto? Allora sei un ingrato come tanti? Sputi sul suolo dove non
puoi smettere di camminare? Complimenti, permetti all’incoerenza, tua
amica, di entrare. Non importa allora, non importa più niente: io
sarò qui ad alimentare il tuo senso di colpa. Fidati, sono capace,
farò in modo che non si spenga mai. Ogni giorno ti rammenterò cosa
è successo stasera, instillerò il dubbio nella tua testa fino a
farti sentire un codardo. So adattarmi in fretta e adesso mi sta bene
aver cambiato gioco: ti farò soffrire più di prima, tormentando i
tuoi sonni, facendoti crollare stanco sulla scrivania in orario di
lavoro, spezzando ogni tua gioia, ogni forma di vita, anche quella
nell’angolo più remoto della tua testa, che voglia germogliare. Sì,
coraggio, vai così, scendi di macchina.

I fanali della macchina sono accesi
e la vettura sobbalza a tempo di motore. La luce indica il muro.
L’uomo stringe in mano un oggetto metallico. I fari rimbalzano contro
e dal pugno chiuso esce un riflesso scintillante…di quelli che
cattura ed infastidisce lo sguardo.

Però, hai preso le forbici….allora è
solo cambiato il finale della storia? Un taglio netto, certo. Sarebbe
stato meglio nella vasca; classico bagno caldo. A te non piacciono i
cliché… vero? A meno che non siano riconosciuti come tali, non li
puoi sopportare. Basta ginnastica mentale: lama, attrito, pelle che
sorride, calore sui polsi, liquefazione.  Poco stile in un strada
deserta, davanti ad un muro che non serve più. In mezzo a quella
fredda V puoi trovare ciò che occorre. Il mio canto di morte diventa
un consiglio prezioso ora che hai capito: nessuno ti tratterrebbe,
neanche se fossero tutti qui. Amici, parenti, fidanzate serie, troie
di borgata: se la signora con la falce dovesse prendere comunque
qualcuno, chi tra questi farebbe scambio con te? Una sola….ma lo
strazio ti ucciderebbe vivendo.

L’uomo ha un volto consunto. Alza le
affilate e con queste si accarezza il dorso della mano. Guarda il
vuoto – che è ovunque – solo un attimo. Il gesto è talmente
lento da essere inconscio. I capelli cadono sull’asfalto caldo e
sporco. Via tutti quei pochi. Non troppi applausi di forbice per
dieci ciocche più o meno. I palmi viaggiano dalla fronte alla nuca
in un movimento unico. Occhi chiusi. Sorriso di chi non sa più cosa
aspettarsi…ma sorriso rimane.

Capisco. Hai scelto
il martirio. Onorevole e prevedibile. Sarò la tua nemesi. Io sono la
tua coscienza e siccome non sei stupido, resterai in balia di me vita
natural durante.

“Ti Ti Ti Ti….” – Rino Gaetano

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Un pensiero macilento

“Te non parli mai di me…”

“In che senso?”

“Quando scrivi, non c’è mai un riferimento a noi”

“A te o a noi? Voglio sperare di non essermi distratto tanto da non accorgermi che nel frattempo il ‘te’ e il ‘noi’ stavano diventando parte dello stesso concetto ”

“Non ho capito? Ti spieghi…”

“Se risolvi il rebus viene fuori ‘sei una megalomane’ ”

“Allora! Hai scritto dei tuoi amici, delle stronzate che dite, dei dibattiti stravaganti che fate sui film….anch’io sono simpatica, sai?”

“Non lo metto in dubbio anche se al momento continuare questo discorso mi fa venire voglia di avere le verruche su tutte le giunture del corpo”

“Perché non ci scrivi di quella sera, quando eravamo su Ponte Vecch….”

“Effettivamente ho scritto qualcosa su di noi, ma lo tengo tra i racconti, sul portatile….”

“Davvero?! Che carino! E di che parla?”

E lì ti giochi, se non tutto, tanto. Preferisco essere sincero piuttosto che mentire clamorosamente e di conseguenza ritrovarmi ad inventare scuse per non farle leggere quel pezzo. Perché lei, cascasse oggi stesso la via lattea, quelle venti righe le vorrà leggere. Servirebbe un deterrente (scusate, da poco ho dato l’esame di Studi Strategici). Potrei anche chiudere subito e spiattellare la mia risposta senza pensarci due volte ma poi, forse, sempre che il lettore non sia caduto in stato comatoso alla seconda riga, non arriverebbe a leggere la fine dell’intervento. I rapporti sono difficili. Nell’occhio del ciclone, per questa volta soltanto, metto il sottoscritto: in buona parte insoddisfatto, con la slogan “c’è tutto da rifare” che stride continuamente nelle orecchie, qualche ambizione di cui non fare parola con nessuno per non dare modo di essere marchiato a fuoco come “esaltato”, mille e uno progetti in ballo e mezzo concretamente cartaceo. Un 21enne della specie più comune insomma. Prendi stamattina ad esempio: questa mattina ospita una particolare fascia oraria, rara nel suo verificarsi, che spazia dal risveglio fino a quando non ho rifatto il letto (si tratta, in media, dalle 11 e mezzo fino alle 2, escludendo casi estremi), in cui per ogni pregio che posso o presumo di avere, riesco a trovare due difetti. Ovviamente basta non pensarci ed il giochino muore sul nascere. Quello che voglio dire, tornando al discorso principale – scusate, ma vivo di digressioni, anzi, vivo in una digressione – è che i rapporti sono difficili; già vado poco d’accordo con me stesso…..dura pensare di poter accontentare qualcun’ altro. Pulizia stagionale dell’armadio: un must per mia madre. Mettere in ordine un soprammobile che essenzialmente resta in perenne chiusura mi risulta sempre un po’ assurdo tant’è che, pur facendolo dal primo anno di superiori, non sono ancora riuscito a farmene una ragione. Se, in ascolto, c’è uno psicanalista capace d’indurmi, anche tramite ipnosi, all’accettazione di questo fatto, certo non disdegno l’aiuto. Tra vecchi libri consunti (materie letterarie di più, materie scientifiche meno) , foto che stanno cadendo a pezzi di amicizie che a pezzi sono già cadute da tempo (mi scuso per le ripetizioni), pile di quaderni d’appunti a sbattermi in faccia quante ore ho trascorso, in passato, a testa bassa su quelle pagine, ho ritrovato delle lettere. Nord Italia, il mittente. Due lettere, inizia per “e” e finisce per “x”. L’ex lascia sempre qualcosa, come l’assassino sulla scena del crimine. Lì ritrovi chilometriche struggenti parole messe in fila e ricoperte di miele che, pensandoci neanche troppo bene, in rapporto all’attuale status quo, di senso non ne hanno molto. Credere è la pausa-pranzo dell’anima però non è mai garantito che il pasto non rimanga sullo stomaco. A sedici anni, pur romantico a piccole dosi che tu possa essere, giochi con “la difesa un po’ alta”; ti scopri finendo per dedicare ampie pennellate di parole intinte in un barattolo di vernice color “senza peso”. Poco più che diciassettenne fai una scoperta a dir poco salvifica, a mio avviso: esiste una differenza, una solcata ed intesa nel suo principio attivo, solcante differenza, tra l’immagine virtuale del proprio rapporto di coppia ed il nudo rumore dei fatti. A quel punto inizi a chiederti – perlomeno nel mio caso è andata così – se non sia il caso di smetterla di cavalcare cavallini a dondolo costruiti con cartapesta e parole e ripiegare piuttosto su dimostrazioni concrete, previo riconoscimento di qualche sorta di merito nel partner. Anche se nella realtà di oggi può sembrare, credo che non parlare di qualcosa non renda il qualcosa meno esistente. Immagino sia questo il motivo per cui non scrivo di quel “noi” che invece di farmi pensare ai pensieri felici che facevano volare i bambini sperduti in Peter Pan, mi rende inquieto, sospettoso, ansioso nel chiedermi……se noi siamo “noi”, ci dovranno per forza essere anche dei “loro”…..sì, ma chi sono? Che vogliono? Perché questa guerra di pronomi personali? Parlare di momenti, non tanto intimi quanto piuttosto singolari perché racchiusi in una nicchia di tempo condivisa solo da due presenti, è scomodo come battere la testa a bordo piscina quando non rammenti di fare mente locale nuotando a dorso; la botta è discreta ma non è detto che tu impari a fermarti poco prima. I motivi per cui, crescendo, mi sono foderato di pietre in questo senso, sono generalmente gli stessi che non mi fanno “lavare panni puliti ” in pubblico. Quelli sporchi posso anche sventolarli dato che coprirli, si sa, rende più curiose le persone e peggiora le cose…. e poi sinceramente……di cosa mi rimarrebbe da scrivere? Segue la conclusione del dialogo d’apertura.

“Davvero!? Che carino! E di che parla?”

“Mah, su due piedi….così…difficile da spiegare”

“Sì ora fa finta…..”

“…..”

“……!”

“…..?”

“Dai!”

“Cosa?”

“Dimmi di che parla!”

“Mmm…..va bene”

“Oh finalmente”

“Ho immaginato di….

Tutututututu……è caduta la linea.

 

“Eppur mi son scordato di te” – Lucio Battisti

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Signori e signore, buonanotte

Non l’ho chiesto io. A dir la verità non l’avete chiesto nemmeno voi….di nascere. Il parto non è poi così democratico a pensarci bene. Nella migliore delle ipotesi due si amano, consumano e ci scappa il bimbo. Se appena usciti, dopo nove mesi di prigionia – senza riduzione della pena – aveste avuto la soffiata che per i prossimi diciotto anni, di minima, ci sarà qualcuno a scegliere per voi, non avreste fatto almeno un tentativo per tornare dentro? Taglio del cordone ombelicale: “No la prego, lasci, mi piace; lo ammetto, è un po’ spartano ma penso mi dia un tocco di fascino medievale”. Comunque sia, se i problemi fossero un paio di genitori autoritari a quest’ora, tutto al più, avremmo meno spazzatura in tv . Non cambierebbe molto insomma. La verità è che quando sei bambino non te ne frega niente ma non è una azione conscia; sei menefreghista perché ancora non hai scoperto l’alternativa, quella nobile: l’altruismo. Il senso di sacrificio, il legame forte, la morale….no che non è dannosa quella. A 6 anni te ne sbatti ma non lo fai con cattiveria,sei quasi autorizzato; mantenere intatta questa fortuna, quando si è già cresciuti, equivale ad un prezioso risparmio d’ inutili seghe mentali. Una volta dato il via alla trafila di responsabilità, puoi stramaledettamente strafregartene con tutto l’impegno in corpo ma non lo farai mai con la disinvoltura di un under 10. Dopo una certa età devi assaggiare anche il primo e non solo il dessert. Magra consolazione sapere che lo sciroppo amaro, del resto, arriva per tutti. Come se le relazioni tra individui non fossero già abbastanza complicate così ci si mettono pure le grandi tematiche a schiacciare il quotidiano propinando un confettino di merda al giorno per non farti sentire troppo in forma. I media intendono insegnarci la compassione, l’indignazione, alti valori e così propongono immagini di catastrofi, carestie, povertà: l’intenzione sarebbe pure pregevole ma ecco che poi, in mezzo, ci piazzano…..pubblicità! E noi lì a vivere le attese illuminati da quegli spot che giornalmente s’imprimono nel fondo del cervello. Una testa a doppio fondo: nel primo i pensieri immediati, i bisogni artificiali, le shoot compulsions, i ricordi importanti; nell’altro solo rimembranze latenti, rimozioni utili e l’accozzaglia di spazi pubblicitari. Ma questi sono dilemmi che vengono dopo, a battesimo del fuoco già compiuto. Lo stato fisico del tuo personaggio iniziale invece, come in un videogame, corrisponde ad un esserino alto 1,38 che frequenta la prima elementare. Da piccoli, oltre ad essere involontariamente strafottenti, si è pure un po’ cattivi. Cattivi in modo genuino. Il posto dove sono cresciuto, da questo punto di vista, è un’ ottima palestra. In Versilia nessuno ti risparmia niente e ciò che spetta viene dato, nel male. Nel bene, a parte amici e parenti ( e neanche lì ho assoluta certezza), dalle mie parti, è necessario dimostrare tre volte tanto ciò che vali perché te ne sia riconosciuta almeno la metà. C’è da sapere che da noi vige la spietata logica del “non ti conosco quindi sei probabilmente un imbecille”. In una scuola elementare tutte queste complicanze ancora non ce l’hai e poi si può solo dare ragione al vecchio detto….il mondo è paese. Il rispetto te lo guadagni giocando discretamente a calcio o, al massimo, se non ti fai mai fregare negli scambi di figurine. Le medie sono il vero casino. Per lo meno quando frequentavo io, o eri il belloccio di classe o avevi la tipica comicità sguaiata ed accattivante o non c’erano cazzi. Nessuna poetica o magna eloquenza che tenesse, anzi: come nei film di Virzì, “un congiuntivo in più e sei bollato come finocchio”. Per abitudine parlo, in media, senza troppe inflessioni dialettali e questo, se gioco in casa, muove a sfavore. Allora mi capitò di leggere non so dove una statistica che riportava i dati della “prima volta” in relazione all’età. Il calcolo aleatorio parlava chiaro: la probabilità di fare sesso aumentava proporzionalmente nei casi di adolescenti che o dedicavano poco tempo allo studio o addirittura avevano lasciato la scuola. In terza media passavo circa 7 ore il giorno sui libri, ero timido e mi esprimevo senza accento “versigliese”. Provando a fare due conti, anche se la matematica non era il mio forte, mi resi conto che il mio primo rapporto sarebbe stato a trentasei anni. In quel periodo ammetto di aver impersonato il ruolo, piuttosto dimesso, di quello che guarda da lontano la più bella della scuola (assicuro che non stavo commettendo stalking), ma del resto che dovevo fare? Non impennavo con il motorino (il mio era l’unico cinquantino della zona ad essere ancora munito integralmente di fermi…….di sforzo, faceva i 48 orari) e non mi friggevo le narici sniffando gesso per suscitare clamore generale a ricreazione. La Versilia è bella e menzognera: gli standard di accettazione del posto e le persone a professarli, talvolta, tentano di farti sentire inadeguato ma non sempre lo fanno di proposito e quando accade, è meglio non dare soddisfazione. Di carambola arrivano le superiori e fatto ad eccezione per i primi tre anni, le scuola va presa seriamente che poi – dicono i tuoi la sera dopo cena -“fatta la maturità, che tu scelga di lavorare o di frequentare l’università, puoi fare quello che vuoi”. Le ultime cinque parole, a diciott’anni, suonano celestiali. A diciott’anni, per una dozzina di mesi, decidi di far pace con te stesso ed intanto cominci ad avvertire qualcosa d’insolito, a sperare, o almeno questa è la mia visione, di iniziare a prenderti sul serio il più tardi possibile. La sordida paura d’invecchiare stura le orecchie. Mezzo uomo e mezzo innocente senti allontanarsi tutte quelle sensazioni che una volta ti lasciavano inerme: il timore della chiesa da bambino, innamorarsi di una sciocchezza, le diseducative ore di religione; tutte macchie secche di prelibatezze già assimilate ad imbrattare la tovaglia della vita. E quest’ultima, volente o no, non si lava. La capacità di meravigliarsi scivola a poco a poco e non voglio credere sia uno scherzo dell’età. Prendiamo i medievali ad esempio, pensiamo di quante invenzioni mentali facevano uso per colorare le loro giornate. Quale stregoneria, quali riti complessi con sassi a cerchio e simboli particolari: bastava che una donna avesse un po’ di raucedine e le si abbassasse il tono di voce: chiaramente era diagnosticabile una possessione diabolica da estirpare sul rogo. Che mattacchioni, eh? Tralasciando i caustici hobbies gotici, torno a coniugare al presente……ad un amaro congiuntivo presente. È ridicolo ma non saprei veramente cosa dire sull’incertezza dei vent’anni: tutto appare ciclico, come la canzone di un maxi carillon che melliflua ed assordante, rimbomba un pò nelle orecchie di tutti. Ognuno conosce la melodia a memoria, si lamenta e siamo da capo. Storditi (almeno io, non per le droghe), coscienti di voler andare oltre la linea dell’orizzonte ma sotto i piedi radici nodose a chiedere di essere annaffiate. Riassumere i vent’anni con occhio critico da dentro è dura assai; meglio provare con versioni tutt’altro che imparziali. I miei vent’anni somigliano per lo più ad una botta in testa mentre stai dormendo. Svieni ma era già come se tu lo fossi dato che sonnecchiavi: una rottura del cranio piuttosto inutile, insomma. L’insoddisfazione di sé così presto? Una fregatura del tutto cercata nel più dei casi, mio compreso. La ricerca di filosofiche realtà, pur essendo un utile esercizio mentale, a mio avviso, muore sotto la spicciola saggezza di Igor (che per la cronaca si pronuncia “Aigor”), parodistico personaggio del demenziale “Frankestein Junior” di Brooks, quando rammenta al suo padrone – ed in questo caso anche al sottoscritto – una lezione importante da tenere bene a mente, sotto le lascive spoglie di una filastrocchetta umoristica: “Quando la sorte ti è contraria e mancato t’è il successo, smetti di fare castelli in aria e vai a piangere sul….!”.

“Stilness of heart” – Lenny Kravitz

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La montagna – una cronaca da due soldi

Baronetto:“Ecco fatto

Bimbo:“Che hai?”

Crystalball: “Ecco fatto è il titolo del primo film di Muccino….Gabriele dico, quello senza zeppola..”

Baronetto:“Mi si sono tappate le orecchie”

Bimbo:“È la pressione, in montagna lo fa sempre”

Evanesco:“Certo, è lo stesso principio che c’è sul Mar Morto”

Bimbo:“Cioè?”

Evanesco:“Nell’acqua c’è un elevato tasso di salinità che provoca l’innalzamento di pressione”

Bimbo:“Ma che centra con la montagn..”

Evanesco:“Se provi a pisciare nel Mar Morto, ad esempio, la pressione è tanto forte da farti implodere la vescica”

Coro (escluso Evanesco): “Non diciamo cazzate!”

Abbiamo un buon ritmo di marcia. Nei primi trentacinque minuti ci siamo fermati solo due volte. Prima sosta ed allo zaino di I-Train parte di netto una delle giunture che regge la tracolla. Un enorme, stracolmo, gargantuesco zaino che ora si trascina sulle spalle – in vaga rassomiglianza con Gesù Cristo al trasporto della sua stessa croce- marciando in salita. I-Train se la cava bene con i lavori pesanti; il fisico non gli manca. Mi arranca davanti e tra qualche comprensibile stento inizia a trasudare un intensa fragranza caprina. Dietro di me c’è Bimbo, che agile si affretta nel procedere, seguito da Evanesco, in continua polemica contro….e qui non so come finire la frase perché ritengo che quel “contro” dica, se non tutto, abbastanza sulla sua personalità. In avanscoperta, a capeggiare la fila, c’è il Baronetto; non appena saremo arrivati farà notare la velocità di esecuzione del suo viaggio leggermente superiore – per non offenderci più di tanto – alla nostra andatura. Per questo se ne sta laggiù, in testa, per rinfacciarcelo. È un lunedì di Pasquetta afoso sotto i nudi raggi del sole, fresco nell’ombra materna del bosco, gelido – o così perlomeno immagino – in quelle grotte spioventi dalla parete che affianca il sentiero tappezzato di morto fogliame. Abbiamo lasciato la nostra ridente cittadina sul mare – che nei giorni di festa aspira bene indentro tutto il catarro invernale e malvolentieri si agghinda per il turista di modo che torni d’estate- per consumare, in mezzo alle montagne, quei pochi giorni di vacanza a precedere la ripresa delle ostilità. Chi lavoro, chi scuola, chi università, chi ozio. Se penso di non potermi lavare per tre giorni mi s’inerpica addosso una voglia di rotolare a valle, prendere la macchina, guidare fino a casa e sguazzare in una vasca ricolma di amuchina gel. Ho esternato questa pruriginosa sensazione durante il tragitto, in macchina, per arrivare all’inizio del percorso; Evanesco ovviamente si è sentito chiamato in causa ed ha provveduto a formulare, così su due piedi, il primo altrettanto pruriginoso sofismo della giornata.

Evanesco: “Non ha senso la preoccupazione di lavarsi, tanto chi ti deve vedere sui monti?”

Crystallball: “Mica mi lavo per gli altri. Io, di mattina, se esco senza farmi la doccia, mi sento sporco, sto male tutto il giorno. È una cosa mia, la gente non c’entra….”

 Tentativo numero 1 di conclusione del dialogo: fallito.

 Evanesco: “Mi vuoi dire che se tu fossi l’unica persona al mondo, l’unico sulla faccia della Terra, ti laveresti ugualmente?”

Crystallball: “Certo, cazzo. C’è un modo per farti capire che è una questione d’ igiene personale e non un favore che mi impongo di fare alla comunità?”

Tentativo numero 2 di conclusione del dialogo: fallito.

Evanesco: “No vabbè è impossibile, quello che dici non ha senso….cioè io non mi laverei mai”

Crystallball: “Farai quel che ti pare, come puoi dire che la mia versione è assurda e la tua è giusta?”

Evanesco: “ Perché non c’è più nessuno al Mondo, non ha senso lavarsi!”

Crystalball: “Via ho capito, meglio se non se ne parla….tanto sono un ammasso di discorsi inutili”

Evanesco: “Scusa ma non ha proprio senso. Piuttosto, ti ricordi quella discussione sul libero arbitrio dell’uomo….”

Crystalball: “Facciamo come sugli autobus: non si parla al conducente mentre la vettura è in movimento. Mi dispiace, Evanesco, sto guidando”

Tentativo numero 3 di conclusione del dialogo: riuscito.

Ad Evanesco ultimamente è venuta la fissa d’intavolare, dal nulla, discussioni pseudo filosofiche. La tendenza a stravolgere concetti semplici – non le definisco così per pigrizia di riflessione ma perché sono veramente delle banalità! – ce l’ha sempre avuta; di recente ha anche contratto questa sorta di “morbo da affettazione” che, ad un tratto, lo porta ad inserire nei discorsi quotidiani parole – sì presenti sul dizionario ma sai quanto inusuali e ridondanti – come “parossistico”, “incoercibile”, “bucolico”, “agreste”, “ontologico” aspettando che qualcuno, spaesato, ne chieda la “traduzione”. Il fine è lo sfoggio, lo sfoggio di un – del resto gli va riconosciuto – discreto intelletto che si erode sotto i colpi di questo genere di comportamenti…..tripudio di baggianate a parte, vedi descrizione degli effetti della pressione del Mar Morto sui poveri, o come lui credo suggerirebbe, miserrimi , pisciatori habituè israeliani (ma chi ci va a pisciare nel Mar Morto?). Marciamo sopra il manto di foglie scricchiolanti mentre Evanesco, polemizzando riguardo il peso del suo “fardello” (così direbbe lui), cerca di smollare la tenda arrotolata a Bimbo che, senza troppe storie, se l’accolla allegramente. Bimbo è il fratello minore di Curly, che non è partito insieme a noi ma ha detto ci raggiunge domani. Sembra dovesse studiare; si potrebbe adesso intraprendere il solito discorso standard e continuare la narrazione con un “ Curly….già…..Curly: non si capisce mai se dice la verità o meno”. Suonerebbe più letterale ma nella realtà dei fatti tutti sappiamo benissimo che Curly, una volta su tre, di svizzera puntualità s’inventa una scusa così poco credibile da non lasciar nemmeno spazio al libero sfogo dell’incazzatura formalmente sacrosanta; non c’è malizia nella bugia. Ha detto a tutti che deve studiare ma con ottima probabilità adesso si trova con la consorte. Un po’ lo invidio. Da una parte anch’io sarei voluto rimanere a casa, forse andare in spiaggia a combattere quella carnagione giallastra con cui ho cessato di fare i conti già da qualche anno. D’estate abbronzato, d’inverno color Panatine Rovagnati. Il mio spirito d’avventura ha traballato alla vigilia, quando gonfio di cibo, come vuole la migliore tradizione pasquale, me ne sono andato via da casa di mio zio (una maratona del dolce, cheesecake in primis, durata ben quattro ore). Ero titubante e poi, rapito in un breve flash, a malincuore ho realizzato di essere l’orgoglio della mia categoria che, per inciso, accomuna tutti quelli che parlano, parlano ed alla fine non combinano mai un cazzo. Insomma, sono qui per dare una delusione a coloro che fondamentalmente sono come me: discretamente lunatici, a tratti apatici, mille progetti mai terminati. All’atto pratico vivo una vita in sospeso. All’atto pratico non c’è atto pratico. L’ultima sosta è vicino ad una grotta ciclopica scavata verso il basso. La vegetazione attorno è fitta e siamo tutti d’accordo che sarebbe molto suggestivo accamparci lì per la notte: dev’essere buio pesto, dopo l’imbrunire. Tutti tranne il Baronetto. Per qualche ragione, a me ancora oggi oscura, non vuole restare e spezza sul nascere la proposta trovandovi mille e uno difetti. Lo punzecchio chiedendogli se ha paura ed inorgoglito, lui risponde negativo. Siamo arrivati al rifugio da circa un’ora e nel chiedere informazioni, l’oste ci ha fatto capire che la struttura chiuderà nel giro di un paio d’ore. Inizia la migrazione di famiglie, scalatori, gente del posto, stranieri: dopo qualche abbondante porzione di minuti, la valle si è spopolata. Ci saluta anche l’oste che, zaino in spalla, s’incammina verso il tramonto roseo. Il rumore generale si è indebolito: è mai possibile che l’uomo sia l’animale più chiassoso del creato? Specialmente se italiano? La natura è splendida così come viene e solo in rari casi ha bisogno di gridare per farsi comprendere. Abbiamo accatastato un po’ di ciocchi di legno e “fuoco fu”: l’aria s’è fatta improvvisamente meno cordiale ed il vento ci taglia bruscamente le guance. Davanti al falò, alzo gli occhi e noto che lo skyline che Dio ha disegnato stasera è una favola da quattro soldi; di quelle che piacciono a me. Colori semplici e stupefacenti. Un blu tenue senza troppe complicazioni di rosso. Vorrei avere carta e penna per scrivere in “live session” ed alla richiesta risponde il Baronetto che giura di esserne munito. Io mi scordo, lui si scorda, nessuno de-scrive. I-Train, in graduale ripresa dallo sforzo del pomeriggio, ha attaccato con un discorso utopico. Nel frattempo il Baronetto sfrutta quella sua dote non comune che gli permette di addormentarsi in qualsiasi posto senza troppe difficoltà. Un superpotere di cui, poche settimane fa, gli ho visto fare sfoggio in una birreria affollata di venerdì sera. Prende posizione, trova la posa comoda e….zac! Bello che assopito.

Crystallball: “Però se non abbiamo una bussola, come facciamo ad orientarci?”

Evanesco: “Il nord è per di là”

Crystallball: “Come lo sai?”

Evanesco: “È per di là”

I-Train: “No, ci si può confondere. Non si potrebbe capire neanche la mattina perché il Sole sorge sia ad Est che ad Ovest”

Baronetto (in uscita temporanea dallo stato narcolettico): “Sì, come in Dragonball. Siamo sul pianeta Namek; due Soli, sette lune….aspetta che arrivano anche i namecciani”

I-Train: “Allora siete degli ignoranti, il Sole sorge sia ad Est che ad Ovest!”

Risata generale.

I-Train, quando non viene creduto, sbraita come se alzare il tono potesse far cambiare opinione agli altri. Un metodo che va assai di moda in tv. E pensando a tutto il trash che il sistema televisivo propone, in pieno trascinamento da flusso di pensieri, cado nell’esteso eremo di tutta quella gente che spiattella i cazzi suoi quando in tv, quando nei blog su Internet. Raccontarsi, saper abbellire la propria autobiografia è cosa buona e giusta ma scendere nel personale e metterlo in saldo perenne al peggior offerente – pure questa abitudine è molto in voga – è veramente una tra le puttanate più emblematiche del nostro tempo. Abbandono la digressione per sentirmi quasi meglio. La serata scorre veloce accanto al fuoco e rallenta quando ci si stacca dal calore della brace per prendere quando la bottiglia d’acqua quando un’altra confezione di mini wurstel da cuocere infilzati nello stecco. Poco igienico, molto Davy Crockett. La mia scatola dei pensieri si è completamente richiusa e ritorno a ragionare con gli occhi: il Baronetto divora l’ennesimo boccone di tonno in scatola che sostiene sia buonissimo (si sospetta fosse un pesce appartenuto ad un’importante casata marittima), io e Bimbo apriamo controvoglia la scatoletta di petto di pollo grigliato in gelatina. Bastardi, il fondo della confezione è solo gelatina. Mando giù insieme a qualche oliva verde per tramutare il voto al sapore della carne da una deprecabile Z ad una comunque indeglutibile F mentre Bimbo, stomacato, interrompe l’autoviolenza. Evanesco borbotta basso su come cuocere il suo mais, anch’esso rigorosamente in scatola. I-Train invece ingerisce l’inverosimile: ha un metabolismo che scioglie il granito. Non un filo di grasso, non un solo orrido brufolo sulla fronte. Il sottoscritto, invece, se fa tanto di mangiare un Ritter Sport alle nocciole diventa un gatto di piombo e per giunta butterato. La notte ormai serpeggia nel grembo della montagna ed i rumori dei boschi prevalgono sul nostro chiacchericcio; indirettamente gli alberi ci consigliano di ammutolire e noi, inconsapevolmente, obbediamo. È giunto anche il momento in cui aver tanto da dire non è più necessario ed è consigliabile accantonare i termini difficili, le “copernicane” teorie sull’alba e sul Mar Morto, il pollo imbevuto di gelatina e via dicendo. Le ombre si fanno spesse ed è per tutti ora di buttar giù la saracinesca di questa giornata. La croce da lassù chiama piano e domani, forse in vetta, la toccheremo con mano. Qualcuno ha detto che quel sentiero fa una manciata di morti tutti gli anni. M’infilo nel sacco a pelo completamente vestito (causa freddo) ed il pensiero dei caduti va a dissolversi lentamente; a questo si sostituisce un’altra idea, senz’altro meno grave, ma di notevole rilievo al momento: non mi sono lavato i denti.

“Green onions” – Booker T. & The Mg’s

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I dissennati vaganti

Così come cadono le stelle, il bambino – la grande fortuna dell’innocenza – non sa mai cosa aspettarsi dal momento successivo, l’adolescente pensa alla trasgressione e ai torti subiti, il ragazzo abbraccia il futuro ad intervalli potenti ed irregolari percependone tutta la soffocante incertezza, l’uomo di mezza età pensa di aver imboccato la strada sbagliata al bivio molti anni prima, il vecchio trascina la carcassa appagato dalla possibilità di concludere l’esistenza senza conoscerne l’ora. Ogni creatura interpreta un ruolo. Ogni uomo, che lo voglia o no, recita. La terra è un palco dalle dimensioni interminabili di cui nessuno può avere perimetrica coscienza. Tutti seguono un corso, un canovaccio su cui improvvisano movenze, toni, gestualità ricorrenti, atteggiamenti. Non si può parlare di copione nonostante che perfino gli stati d’animo sono dettati dal personaggio incarnato. La bella della classe, il fallito, la sposa calcolatrice, l’eterno sognatore illuso, il buono alle prese con l’ennesima fregatura, il buono “ma quando lo fai incazzare….”, l’arrampicatrice sociale pronta a camminare su cadaveri di amici e parenti, il fascinoso personaggio venuto dal nulla per strapazzarti un po’ l’esistenza, lo strano in mimetica, il tipo silenzioso, il finto pericoloso, la ragazza della porta accanto un po’ santa un po’ puttana, le masse indistinguibili d’imbecilli (che contano come un solo personaggio avendo del resto un solo timoniere mentale condiviso) e perché no, il principe pagliaccio….capace e solo….sul trono ma senza cortigiani….incoronato e ridicolo. Buona parte di questi brama disperatamente di passare di grado, di migrare dallo status di “macchietta” dietro le quinte verso una posizione centrale sotto la sgargiante luce del riflettore. Ciascuno con la sua dose di angosce orrende di sogni; soffocate in una cartella polverosa, per separarle dalla vita reale, riposano tutte quelle improbabilità con cui, a gente come il sottoscritto, piace dialogare nelle notti senza sonno. Capitoli chiusi, storie che non sempre iniziano – per limiti di budget – con il canonico “c’era una volta”: queste la trama e l’ordita, questo l’amaro ruscello da seguire fino al mare. E che tu sia comparsa o protagonista, che tu rifiuti di credere nella predeterminazione delle tue digressioni o che tu sposi, squisitamente in ogni sua forma, la rassicurante poesia di impersonare un ruolo, che tu sia camaleontico o sedentario, attore cane o talento indiscusso, in empatia con l’universo o un’interminabile landa arsa di risentimenti, avrai sempre bisogno di un posto da additare come casa. Al culmine della sghignazzante parata di sorrisi, nuovi volti, intenzioni e pulsioni da placare – con il “sangue” o con l’armonia – , ogni giorno pronta a mettersi in moto per noi, la morte delle ventiquattrore è uguale per tutti: in mezzo a quattro mura erette, il protagonista riflette su quanto ancora potrà reggere il successo, la comparsa prova a figurarsi cosa stia pensando il protagonista, il camaleontico ripromette a sé stesso un solo colore, il sedentario si domanda se stare fermi non è più pericoloso di quel che sembra, l’attore cane ringrazia Dio convinto di aver ricevuto il dono della rara inclinazione naturale al saper vivere, il talento indiscusso dubita e nello svilirsi migliora inconsapevolmente, l’universalmente empatico sogna lo scontro, chi dentro porta il deserto affettivo ferma il suo andare e piange allo sbiadito ricordo della madre. Tutti vogliono essere ciò che non possono. L’indomani nessuno di loro sarà differente da oggi. La giostra ripartirà comunque. L’importante ora è togliersi la maschera e dormire; che in questo modo soltanto si può essere sinceri. 

“Nights in white satin – Moody Blues”

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Reportage di un cinematografaro

“Non hai visto Braveheart?”

“Immagino sia bello ma non mi ha mai ispi…”

“Oddio, non hai visto Braveheart?!”

“C’è tempo, non sono alla fine dei miei giorni”

“Cioè non l’hai visto, a te che piace anche il cinema…no seriamente, non hai visto Braveheart!?!?”

“Va meglio se mi costituisco?”

Nel ventilato sabato sera di una Forte dei Marmi mai completamente primaverile, due stronzi discutono per riempire quei vuoti colloquiali propri dei piccoli paesi come il mio. D’estate metropoli, il resto dell’anno una città fantasma. Ottima location per un western con le più grandi firme della moda protagoniste che si sfidano a colpi di rialzo dei prezzi. La Versilia è così: nessuno sente la mancanza di nessuno e quando torni tutto è rimasto, purtroppo o per fortuna, come l’avevi lasciato. Gente se ne va, altri che da quando ho memoria, tra un locale ed un aperitivo, progettano la fuga,  altri ancora che decidono di starci bene e  sguazzano in questo paradiso cullato da mare, montagne e modi bruschi. Rientro nel secondo gruppo; fatta eccezione per l’accenno al lifestyle da riviera di cui mi considero, in buona parte, epurato. La mia fuga è il cinema: in media, ho a disposizione un’ oretta e mezzo per andarmene di casa, oltrepassare i confini della penisola ed atterrare nel creato di qualcuno, non importa dove. Un mondo a parte i cui inizi e finali sono sempre scanditi da titoli, rispettivamente, di testa e di coda. Avete fatto caso che nessuno guarda mai quelli di coda? Sarò rimasto l’unico scemo del villaggio che resta lì mentre scorrono? Evasioni a parte, quando gli amici, come del resto chiunque, parlando, intuiscono che mi distruggo di film  – molti dei quali neanche troppo avvincenti – e scovano uno tra le miriadi di vuoti culturali che ho in materia, il dialogo diventa, a grandi linee, simile a quello descritto sopra. Non parliamo neppure di quando, da entità pensante quale ho avuto la presunzione di ritenermi fino ad oggi, esprimo un giudizio che un esperto del grande schermo considera “eretico”.  Non ho imparato ancora a stare zitto ma un tentativo lo faccio sempre.

“ Barry Lyndon è a dir poco stupendo. La visione epocale dell’ascesa sociale di un uomo di umili origini che riesce a travalicare il rigido gradino classita in un tempo comunque impreparato ad accogliere certe vicende.  Kubrick è geniale”

“……”

“L’hai visto il film, vero?”

“Sì….”

“Che ti sembra?”

“Hai ragione, Kubrick è geniale”

“Sì ma dico il film, Barry Lyndon”

“Ah..”

Silenzio.

“Allora?”

“è una rottura di palle clamorosa”

“Cosa? Come puoi…”

“Ma sì dai, giudizi tecnici a parte, è noioso. Tre ore di film che se era tutto in rallenty scorreva più veloce”

“Il maestro ha usato dei filtri particolari per realizzarlo. Sono stati spesi….bla bla bla. Non è certo encomiabile dire che….bla bla bla. La bellezza in casi come questo andrebbe considerata oggettiva perché è impossibile sostenere…..bla bla bla.”

“Capito, me ne vado diretto al commissariato ed una notte in cella non me la toglie nessuno”

Quando si considerano oggettivamente le proprie impressioni non possono nascere altro che perdite di tempo simili. Alla fine di tutto sono riuscito a vedere Braveheart e come se avessi scoperto l’acqua calda, devo dire che è ragguardevole. Finito il film, come ho scritto in una recensione poco tempo fa, assicuro che se avessi avuto a tiro un inglese lo avrei preso a sonore spadate. Non prima di aver indossato il kilt ovviamente.  In tutto questo non resta che chiedermi: “Ma io….dove l’ho trovata la spada?”.

“Some might say” – Oasis

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Se nella tua vita ogni cosa si trova al posto giusto…..

….questo non è il blog che cercavi. Di solito le presentazioni mettono in risalto i punti cardine di un, chiamiamolo così, progetto nascente; per darvi un iniziale emblematico assaggio dell’indole con cui vivo, scrivo, parlo, socializzo, cazzeggio e mi nutro di cheesecake,  controcorrente, farò prima a dire – in modo da non scadere in banalità siderali e forse annoiandovi con una lunga “lista della spesa”-  tutto ciò che questo blog NON è . Non è uno sfogo nè una confessione; è una porzione di vita ma non un estratto personale. Questo blog non è composto da recensioni di critica cinematografica: non saranno certo una manciata di parole sopra una pagina web che vi condurranno alla visione di “La parola ai giurati” di Lumet o “Ragtime” di Forman. Un’affermazione in positivo però me la voglio concedere: questo è un blog sincero o perlomeno il tentantivo è quello. E via con la prima iniezione di disincanto riconoscendo che di critiche cinematografiche su Internet ce n’è fin troppe; scontato dire che una in più non cambia molto: in primo luogo perché non ho millenaria conoscenza del “miracolo su celluloide” e secondo motivo perché, come recitava lo slogan riassuntivo sopra la maglietta di mio cugino quando avevamo circa 9 anni, “le opinioni sono come le palle: ognuno c’ha le sue”. Bonjour finesse e andiamo avanti con la discesa dei “non”. Non c’è un programma definito e nel caso mi salti in mente di progettare provvederò a lobotomizzarmi seduta stante: gli imprevisti sono le spezie dell’esistenza. Unici due punti di riferimento comuni ad ogni intervento, sperando di non essere bannato o distrutto da un cracker (che gliene frega ai pirati informatici di ‘sto blogghetto?) prima di poter scrivere ancora, una canzone come sorta di cornice dell’intervento e l’ immagine della scena di un film – di cui non verrà svelato il titolo –  piuttosto simbolica. Con quest’ultima il tentativo consiste -sempre che non vi sconvolga l’esistenza e sperando “che la voglia sia con voi” (dopo la maglietta di mio cugino, un’altra citazione con cui mi aggiudico la denuncia per plagio) – nel vedere se qualche “eletto” riesce ad indovinare il titolo dell’opera (termine un pò aulico, vero?). Semiconcludendo come in quei diari che non scrivevo da piccolo mi affretto a snellire il discorso perché “adesso devo andare a dormire”. Questo blog non è politico e non fa politica, non si ammette l’offesa (con riserva su quelle originali ed elaborate) ma si gradisce la critica spietata: un pò di sana cattiveria migliora le “prestazioni”. Intelligentoni, super imbevuti di cultura alla larga: la lezione la si impara a scuola e quì dentro ci si esprime tramite consigli. Tale “puntocom” che state leggendo, a valle di tutto ciò che or ora (aulico 2) è stato menzionato, non ha regole. Semmai qualche girovago multimediale dovesse passare per questo blog avvinghiato ai cancelli della parte disabitata della rete,  lasci l’impronta o taccia per sempre (aulico 3 e 4…ma tranquilli, ho quasi finito). Per correttezza verso il lettore, assente durante il processo creativo, non cito la colonna sonora dell’intervento perché…..non c’erano canzoni mentre scrivevo. Riguardo al primo ritaglio di film da indovinare, l’immagine nella home del blog  si può considerare lo “start” di questo gioco per fanatici del grande schermo e nuovi adepti (aulicissimo quasi arcaico). L’attore lo dovreste conoscere…..pubblico femminile in particolare.

Ps: Gli smiles sono una moda terribile, perché non abbandonarla?

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